La guardo.
Sta dormendo.
Soffia senza ritmo mentre tutto, intorno, si lascia spostare lentamente.
Ogni linea, tutte le ombre sottili, si tagliano penetrando la fine degli incroci.
Mi accosto ai lampioni, modellata sugli spazi,
respiro dilatandomi insieme al vento
che accarezza le superfici asciutte e contaminate.
Rincorrendo ogni (r)umore incontro estremità sofferenti,
segmenti spezzati di miopie civili.
Stringo i pensieri detonati nei momenti che percepisco
e mi bagno della storia evolutiva toccando pensieri,
energie, intermittenze univoche.
Dagli occhi seguo vibrazioni ellittiche sciolte nell’asfalto
e mescolate diluite nelle visioni fibrose delle foglie umane.
Entro in costruzioni coscienti, appoggiate su legami costanti di atti graffiati:
qui l’aria è calda, irrespirabile.
Una folla di spiriti si ammassa ovunque salvandosi dalle allucinazioni.
Rimangono tutti statici e inalterati,
negli abiti consumati, perdendosi negli altri.
Il sistema, mentre tutti osservano questo inquieto catrame instabile,
non vibra:
questo mondo ha trovato troppi spigoli innecessari, angoli e insenature simmetriche,
invece vuole essere generato curvo e morbido
e urla ferito innaffiato d’etere e cenere.
Si sta svegliando.
Mi guarda.
L’accarezzo.
E poi devo andare avanti.